Serra di Rocca Chiarano

Montagne bellissime al confine del parco d'Abruzzo.
Una bella cresta che viaggia oltre i 2000 metri, montagne intorno, quelle del parco d'Abruzzo da un lato e le dorsali delle Gravare e del Rotella che precedono la Majella dall'altro. Pareti chi precipitano diritte sotto sporgenti cornici che sfidano la gravità. Una facile escursione che regala tante emozioni e bellissimi panorami.


Una bella mangiata di chilometri in auto fin a Passo Godi ma ne è valsa la pena, i favori di una bella giornata, almeno fino al primo pomeriggio, ci hanno regalato una splendida cavalcata in cresta e orizzonti infiniti con delle montagne intorno bellissime che è sempre un piacere ritrovare. Le gole del Sagittario ripagano già il biglietto della giornata, lo specchio d’acqua immobile è di un turchese trasparente che ipnotizza e i profili del Terratta innevati ci si specchiano senza increspature, non c’è differenza tra la montagna vera e quella specchiata; peccato che nel tratto di strada dove si godeva di questa prospettiva non ci fosse spazio per fermarsi, ci saremmo portati a casa delle foto bellissime. Scanno ci è mancato, lo abbiamo vissuto il tempo di fermarsi per un caffè ma è sempre lo splendido borgo dove il tempo sembra essersi fermato; è completamente sgombro da neve e l’aria frizzantina sta già a preannunciare la primavera. La prima neve compare lungo i tornanti sulla strada che sale a passo Godi, dopo un tornante, improvvisamente, intorno quota 1400 ai lati e all’interno del bosco il manto è alto e compatto. Passo Godi è imbiancato, ma di quella neve consumata, sporca, pesante, larghe fasce scoperte lasciano spazio alla rugginosa erba che ancora non riesce a riaversi dalla fredda coperta che l’ha seppellita fino a pochi giorni prima. Anche qui non mancano le motoslitte, ormai business “perverso che imperversa” sugli Appennini. Parcheggiamo di fronte al rifugio Lo Scoiattolo, cerco di individuare il passo dello Scalone e l’imbocco del sentiero che ci sale ma mi sento come arrugginito, confuso, non mi era così familiare come pensavo; in effetti erano passati un sacco di anni da quando con Marina abbiamo raggiunto Serra di Rocca Chiarano per lo stesso itinerario di oggi, una escursione indimenticabile e quasi completamente immersi nella nebbia e al ritorno anche travolti da una insistente bufera di neve. Come allora è bastato l’intuito per imboccare il sentiero che sale allo Scalone, attraversiamo tenendo un po' a Nord, puntando il fosso più evidente, seguiamo per larghi tratti le piste battute dalle motoslitte, dove non ci sono la neve è poca ma ghiacciata per cui l’attraversamento della piana è comunque veloce; ancor prima di avvicinarci al bosco noto da lontano una bandierina su un faggio, probabilmente andò in maniera così semplice anche la volta precedente e per questo non ricordavo l’imbocco. Le prime svolte dentro la faggeta non salgono ripide, sono sgombre da neve ma dura poco, quando si esce dal bosco su una prima piccola dorsale il manto si fa più compatto e quando si prende il lungo traverso in direzione Nord puntando l’ormai evidente valico dello Scalone, anche spesso. La pendenza se pur ripida ci permette di salire senza bisogno dei ramponi, solo quando ormai siamo intorno quota 1750 sentiamo il bisogno di maggiore sicurezza e approfittando di una piccolissima radura ci fermiamo per indossarli. E’ la svolta della giornata, e da perfetti Gianni e Pinotto, goffa e se non fosse negativa anche divertente, quella che non ci permetterà di raggiungere i 2262 m. della vetta si Serra di Rocca Chiarano. Ci siamo portati i “ramponcini” per risparmiare peso, questi, per loro struttura sono ripiegati dentro una custodia che ha una rotondità improbabile per quelle pendenze; ci eravamo invertiti i ramponi quando ci siamo preparati gli zaini, i miei stavano nello zaino di Marina e i suoi nel mio. Tocca a Marina, li recupera che ho ancora lo zaino in spalla, li appoggia a terra ma quella rotondità improbabile che dicevo è per natura poco stabile, e non gli è sembrato vero trovarsi su un pendio accentuato; sono bastati quattro lenti giri quando hanno toccato la neve che hanno iniziato a prendere velocità, come un ebete li osservavo senza reagire, avevo ancora lo zaino in spalla e i miei ramponi nello zaino di Marina. Quando il tempo di reazione ha fatto nascere un barlume di iniziativa è stata Marina stessa, intuendo la mia irruenza a fermarmi, stavo già inseguendoli sperando di limitare l’odissea della discesa. Morale della favola li ho osservati scivolare e prendere velocità, rimbalzare, prendere ancora più velocità e rimbalzare ancora e poi ancora e poi ancora fino a vederli perdersi oltre le gobbe e infilarsi (mi era sembrato) nel canale dentro il bosco un paio di cento metri più in basso. Il senso dello stupido fa fare brutti scherzi, non ci siamo confrontati, ho montato i ramponi, preso la piccozza e forte delle mie convinzioni mi sono buttato alla loro ricerca, ero certo di trovarli, il fosso era netto, non potevo non trovarli. Ma non era per finire il teatro perché i ramponi nel fosso non ci si erano infilati, chissà cosa avrò visto, ho raggiunto il fosso, neve alta, le linee convergevano tutte li, ero certo di trovarli ma niente, ho continuato a scendere, un piccolo salto che gli avrebbe fatto prendere ulteriore velocità, scendevo e affondavo, sono sceso ancora fino ad una atro piccolo salto dove poi la pendenza sembrava diminuire, ho provato il tutto per tutto convinto che più in basso non sarebbero potuti scendere ma niente, non ho potuto far altro che darmi per vinto; risalendo mi sono accorto delle ampie buche intorno ai faggi, la neve che si scioglie crea grossi e profondi avvallamenti, risalendo ne ho sfiorati parecchi pensando che ci potevano essere finiti dentro, di qua e di la, sprofondavo nella neve alta e per niente compatta, ho perlustrato bene le macchie di faggi, magari ci si erano fermati contro ma niente, piano piano sono risalito fino ad uscire dal bosco. Marina mi urlava di andare a sinistra, la capivo a stento perché era troppo lontana ma anche perché certo delle mie convinzioni mi sembrava impossibile che fossero scivolati così lontani dal fosso dove li avevo visti infilarsi. Seguo le sue indicazioni, perlustro ancora nella direzione che mi indicava ma nulla, per giunta spostandomi sulla sinistra il pendio continuava senza alberi, fossero scivolati li sarebbero stati molto più in basso, mi do per battuto e decido di risalire almeno per raggiungere lo Scalone e vedere se fosse stato possibile continuare l’escursione senza ramponi. E’ stato un bel faticare risalire dritto per dritto con tanti fitti tornanti, sfiancato raggiungo Marina; proviamo a ripartire ma non va, Marina non si sente sicura e teme la discesa più che la salita, e ha ragione perché quando voltiamo per scendere fatica non poco a stare in piedi. Gli batto la traccia, rimango poco sotto e molto lentamente ci ritroviamo al margine del bosco, all’inizio del fosso che avevo appena disceso e risalito. Insiste nel dirmi di provare di nuovo verso destra, oltre il fosso, persi per persi avremmo ridisceso il fosso insieme ma una perlustrazione valeva la pena farla; nell’attraversare un piccolo cespuglio di bassi ginepri scorgo nel mezzo un K-way, di quelli che dentro il guscio assumono l’aspetto di un pallone da rugby e che sicuramente ha subito la stessa sorte dei ramponi di Marina; poco più in là una macchia gi ginepri più grossa, mi ci dirigo e … bingo, eccoli li, rimasti impigliati tra i rami del cespuglio, molto fuori dalla traiettoria che io avevo visto o pensato di aver visto. Bene, il primo risultato era raggiunto, almeno ci eravamo risparmiati il doverli riacquistare, ora dovevamo dare un senso alla giornata. Non so come mi è uscito dalla bocca? Ti va di risalire e continuare? Chissà come gli è uscito dalla bocca? E perché no, risponde. Due ore dopo l’inizio delle comiche raggiungiamo il valico dello Scalone con grande, enorme soddisfazione, fosse solo per non aver mollato. Ci arriviamo che sono già le 12 della mattina, ci rendiamo conto che forse è troppo tardi per chiudere il giro previsto ma gli orizzonti che si allargano fino alla Majella e alle Gravare ci ripagano di tutto, ci riposiamo un po’ e ne approfittiamo per mangiare qualcosa e decidiamo che vale la pena continuare fin dove si poteva arrivare. Raggiungere il Valico dello Scalone segna un traguardo importante, si superano di poco i 1900m. e sono solo 340 i metri di dislivello che rimangono da salire fino alla vetta, peccato che sono concentrati per la maggior parte nel primo chilometro fino alla vetta dello Scalone; la ripartenza è stata di quelle pesanti, gambe dure e bloccate su un pendio che sembrava infinito, una prima rotondità scopre la cima dello Scalone molto lontana e alta, ci viene lo sconforto perché sentiamo la stanchezza. Non rimaneva che salire un passo alla volta. Paghiamo la doppia risalita di poco prima, per fortuna l’ambiente prettamente invernale e le cornici sporgenti in cresta sono un vero spettacolo che ci distrae, l’orizzonte ad est sconfina sul Rotella e la Majella, ad Ovest sul Godi, sul Marsicano fino al Terratta, a Sud sulle montagne delle Mainarde, motivi per non pensare alla fatica e motivarci ne avevamo e anche se lenti raggiungiamo i 2167m. della cima dello Scalone. Come al solito la stanchezza passa di colpo, la linea di cresta davanti è lunga ma non spaventa più, minimi dislivelli da scendere e risalire, almeno fino a quella che è la cima che anticipa l’anfiteatro di Serra di Rocca Chiarano, grande suggestione della giornata ed oggi ormai nostro ultimo e realistico obiettivo. Diventa una bellissima e facile cavalcata in cresta dalla cima dello Scalone in poi, con degli scorci stupendi sulle bastionate ripide che scendono pochi metri più in là, cornici sporgenti ovunque e l’enorme suggestiva piana delle Gravare che si stende tra la la Serra di Rocca Chiarano, il monte Greco e il comprensorio di Roccaraso sempre presente; un omino in lontananza ancora prima di intravedere la cima principale ci segna il traguardo, un linea quasi piatta in cresta, leggeri saliscendi, peccato che la neve col sole alto si sia bagnata, non regge più e ci rallenta un po'; lo raggiungiamo e si spalancano davanti le belle linea di cresta di Serra di Rocca Chiarano, con le tante cornici sporgenti, con le imponenti pareti imbiancate come un pandoro che scendono ripide e col maestoso anfiteatro che si apre tra noi e loro. Un angolo davvero bello e suggestivo dell’Appennino, in fondo si erge il monte Greco. Montagne belle, solitarie, catalizzanti. Momenti in cui sparisce tutto, il tempo persino, mi lascio rapire da ciò che ho davanti, è tutto troppo e tanto, non so dove posare lo sguardo, linee verticali dure e impossibili ma di una bellezza pura, le cornici arricciate, a sfidare la gravità, la cima dietro una del tutto simile, le due a formare la vetta della Serra, sono distanti meno di un chilometro, ma a parte che avevamo deciso di non raggiungerle per una questione di tempo a disposizione, non ne seniamo nemmeno il motivo, eravamo sicuramente sul punto di osservazione più bello di questa montagna, un vero gioiello troppo poco frequentato. Ci mettiamo sotto vento per mangiare qualcosa e riempirci gli occhi del Marsicano che avevamo davanti; complessa montagna, da qui un dedalo di vette minori e valli che si attorciglino tra loro, il vero cuore del parco. Non rimaneva che riprendere la via del rientro, il cielo si andava velando velocemente e le previsioni che davano peggioramento nel pomeriggio sembravano essere realistiche. Un peccato abbandonare un posto così bello. Il rientro, per la stessa via dell’andata è stato più veloce delle aspettative, meno salite da affrontare solo la neve meno consistente rallentava molto. Altre cornici, altre pareti prima e dopo la cima dello Scalone, stavolta a fare da sfondo la Majella. Raggiungiamo il valico dello Scalone e iniziamo il traverso lungo ma ora più facile perché di ghiaccio non c’è più nemmeno ombra. Veloci raggiungiamo il limite del bosco, appendiamo i ramponcini agli zaini, pochi tornati e siamo sulla piana. Il tempo di rivestirci e siamo davanti al caminetto del rifugio di Passo Godi, la cucina è chiusa ma un paio di panini caldi ce li facciamo. Fuori la giornata è diventata grigia e invernale, davanti al fuoco stiamo meravigliosamente; un modo degno per chiudere questa bella giornata di montagna. Da Passo Godi all’anfiteatro di Serra di Rocca Chiarano A/R abbiamo impiegato 6 ore e mezza, considerando che per il recupero dei ramponi abbiamo perso quasi due ore, l’escursione completa alla fine impegna poco più di mezza giornata.